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Roy Menarini

Roy Menarini è Professore Ordinario all’Università di Bologna, dove insegna Cinema e Industria Culturale, e Culture della Televisione e della Serialità. Si occupa di cinema e immaginario contemporaneo, di forme della cinefilia, di metodologie della critica cinematografica. Fra le sue pubblicazioni, La strana copia. Studi sull’intertestualità e la parodia del cinema (Campanotto 2004), Il grande cinema italiano (Atlante 2010), Cinema e fantascienza (Archetipo 2012), Il cinema dopo il cinema (Le Mani 2014), Il corpo nel cinema. Storie, simboli e immaginari (Bruno Mondadori 2015), Il discorso e lo sguardo. Forme della critica e pratica e pratiche della cinefilia (Diabasis 2018) e La grande illusione. Storie di uno spettatore (Mimesis 2022).

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Sessione I - 30 maggio 11.15

Il post(u)moderno e i franchise contemporanei

Quello che sta accadendo nel sistema dei franchise hollywoodiani ce lo ha spiegato un dialogo dell’ultimo Scream. Ovvero siamo nell’era del requel, un metodo di ravvio delle saghe più importanti che necessita della presenza dei vecchi protagonisti, affiancati a quelli più giovani, allo scopo di ampliare anagraficamente l’audience.

Di fatto, questo atteggiamento narrativo e industriale va interpretato. Primo: il postmoderno degli anni Ottanta e Novanta (che pareva un gioco di secondo grado) adesso è una sorta di classicità cui tendere. Secondo: lo sguardo con cui si torna a quei film del passato è cambiato. C’è chi guarda con ironia ormai quasi goliardica (Scream), c’è chi lo fa con malinconia testuale (Matrix: Resurrections), c’è chi lo fa come un funerale della cultura analogica (Ghostbusters: Legacy), c’è chi fa specchiare l’antica immagine in sé stessa (Michael Myers alla finestra in Halloween Kills) e così via. E quando i vecchi personaggi tornano in scena, espongono corpi e volti così segnati da modificare un’intera filosofia dell’invecchiamento al cinema. Sono a modo loro tutti film sulla morte e sullo scorrere del tempo.

Siamo oltre la retromania, oltre il vintage, oltre il neo-barocco. È un postmoderno postumo, che fa i conti con sensazioni di lutto, di perdita dell’autenticità, che mette in scena il passato come fosse un archivio e il cinema come fosse un museo. Si potrebbe definire postumoderno.

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